Sabrina Ferilli

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  1. Nannarè
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    Il fattore Ferilli

    Ogni Paese ha la Marianna che si merita e la nostra icona si chiama Sabrina Ferilli. Ma va là, direte voi. E di sicuro già sentite risuonare quel richiamo stridulo in romanesco, “Artiggggiaani...?!”. D’accordo, meglio non indorare subito troppo la storia. Tanto, com’era finita Sabrinona nostra nazionale, prima del riscatto che Paolo Sorrentino le ha regalato in La Grande Bellezza? La Ferilli che oggi celebriamo come struggente icona di un cinema italiano degno di nuovo degli Oscar, sì, proprio così, è la stessa che fino a ieri ci limitavamo a irridere per le smorfie da civetta sul sofà, e “beato-chise- lo-fa-il-sofà”. Ha fatto poco altro di notevole, in effetti, Sabrina negli ultimi anni. Tolta qualche rara impennata d’autore, le arrivavano solo particine nei cine-panettoni, magari con l’amico di sempre Christian De Sica. Per onore d’esclusiva Mediaset le toccava di rifare le solite fiction, e sbiadivano pure un po’ i compensi; ha fatto persino una comparsata nella giuria di Amici, il talent-show di Maria De Filippi, sforzandosi d’apparire severa.

    E che dire della parabola privata? La pasionaria figlia di militanti comunisti con la gioiosa immagine di mangiauomini («meglio quindici fidanzati per volta che un marito», amava ripetere quando si favoleggiava dei suoi inseguimenti ai campioni di calcio come Batistuta) era finita come trofeo sotto braccio al campione dei manager d’estrazione berlusconiana, Flavio Cattaneo, ahi-ahi. Si erano diradate anche le copertine patinate e qualcuna delle rare interviste scivolava sempre più nel sublime: un semiserio incipit del giornalista Giovanni Audiffredi raccontò lo stalking telefonico notturno in albergo della fu-diva, rilanciando nero su bianco la maldicenza di una sua leggendaria voracità. Sarebbe facile continuare crudelmente così, ma così poi non si spiega il personaggio Ferilli e nemmeno la persona Sabrina, ruspante e soprattutto tenace: lo si evince già da come ha conquistato e difeso, con le unghie e con i denti e con le querele, il secondo matrimonio, che la vede legata appunto a Cattaneo. E allora, questo benedetto piedistallo d’immagine su cui torna oggi a risplendere, un po’ se lo merita?

    Per averne un'idea, ripartiamo dall’apice della Ferilli-story. Sabrina era stata la stella più luminosa a cavallo del Secondo Millennio, con un triplo clou milionario: un milione di persone in delirio al Circo Massimo mentre s’esibiva nel celebre spogliarello per lo scudetto della Roma, e lei “un poco simbolo di vittoria e un poco emblema di degradazione nazionale, folgorante, indimenticabile, indimenticata” (Lietta Tornabuoni) che pensava semplicemente: “Aho, manco ’r Papa prova n’emozione der genere”; un milione di copie tirava il mensile per soli maschi con il suo calendario sexy, e qualche ragazzaccio andava pure a rubarsi i poster davanti alle edicole; un milione di euro si favoleggiava fosse il suo compenso per ogni fiction. Quel periodo d’oro si chiude con la consacrazione al sabato sera sulla prima rete Rai, per un megashow con Lucio Dalla intitolato La bella e la Besthia. Quell’h in più, aggiunto al titolo banalotto, è niente in confronto alla piccola insinuazione che ci mise poi dietro Berlusconi: «Figurarsi cosa avrebbero scritto di me se avessi detto che non voglio la Ferilli in televisione perché è amica di D’Alema». Un’amica che poi tanto poco si cura di nasconderlo da aver riassunto così, prosaica, il segreto del lìder massimo: «Che vve devo dì? A me piace D’Alema per quella sua espressione da “ma vattela a pija ’nder culo”».

    Epperò è così che la verace Sabrina si è resa inattaccabile. Ormai la blandiscono con paginate d’intervista persino al Fatto quotidiano, dove lei si presentò a trovare Marco Travaglio in redazione. La adora ovviamente anche Il Foglio di Giuliano Ferrara, che del resto ha avuto un padre importante, Maurizio, legato a papà Ferilli, anche lui Giuliano, per motivi di partito, comunista ovviamente. È stata chiamata più volte a dar voce alla crisi di una sinistra senz'anima, e lo ha fatto volentieri, ma senza rinnegare la vecchia passione dalemiana. Ancora poche settimane fa ha ripetuto in tv:
    «Renzi vuole rottamare? Sono sciocchezzine da slogan. Se una persona è valida, mi auguro che viva duecento anni, non che venga estromessa perché ha compiuto 65 o 70 anni!».

    Un risvolto curioso di questa storia è che Sabrinona nostra nazionale, dopo la caduta, era già stata data per risorta una volta, a cavallo dei suoi quarant'anni. Qualche buona critica, che tuttavia non mancava di sottolineature impietose, vedi su l'Espresso del 2004: «La Ferilli ha cambiato lievemente faccia per via di piccole alterazioni soprattutto intorno a zigomi e guance... È bellissima e brava, simpatica e sensuale, calda, ha una pelle di seta: però cambia, è cambiata». Deboluccio il risultato anche in premi: due-tre Nastri d'argento, neanche un David, ma - crudeltà wikipedica - un Efebo d'oro di Agrigento per la tv. Eppure, a guardarci bene, la sua carriera, cominciata con una sonora bocciatura al Centro sperimentale, ha conosciuto paginette di tutto rispetto, in ogni fase: prima dell'esordio teatrale tra le fila di Garinei e Giovannini, ha avuto l'onore del ciak con un maestro come Marco Ferreri, nel film Diario di un vizio, premiato a Berlino nel 1993; prima di calcare il palco di Sanremo con Pippo Baudo, nel 1996, eccola indossare i panni di una provinciale vittima del sogno televisivo in La bella vita di Paolo Virzì (1994), lo stesso regista toscano che la rilancia nel 2008 come carnefice dei precari in Tutta la vita davanti.

    Non è che sia proprio arrivata a essere quello che voleva, la nostra Ferilli. All'inizio, lo racconta lei, sognava di diventare una nuova Sophia Loren. Ma ora, dopo Sorrentino, lascia volentieri sospettare che vorrebbe essere considerata una sorta di Anna Magnani postmoderna. E qui, accidenti!, la strada si fa dura per davvero. Anche perché, se c'è un paragone storico immediato, che rende riconoscibile la Marianna italiana che è in Sabrina Ferilli, con quel suo corpaccione sempre esibito impudicamente all'antica, con quel seno enorme sul corpicino che però si posa per terra su un provvidenziale 40 di piedi, bisogna saltare indietro alle Signorine Grandi Firme di Gino Boccasile. E qui si entra per inciso in una diatriba sull'archetipo femminile da cui cinema e tv italiani hanno attinto a piene mani, un'immagine maggiorata che si tramanda ininterrottamente, un frullato maschilista di vecchi sapori da barberia. Questa linea di continuità passa attraverso Fellini, e guardacaso La Grande Bellezza è il film felliniano per eccellenza di oggi.

    E allora, inquadrandola bene per quella che è davvero, ossia l'epigone vivente di un tocco di Boccasile, si capisce tutto di Sabrina- Marianna d'Italia: anche perché lasciò alle compagne più o meno blasonate l'urgenza di una discesa in piazza "Se non ora quando?" e difese in modo aperto il suo storico grande datore di lavoro Berlusconi, durante l'infuriare del caso Ruby. Eh, già: Sabrina Ferilli e la nipote di Mubarak s'assomigliano proprio, come si evince dalle foto dei tempi in cui militavano insieme nella scuderia di Lele Mora e la povera marocchina sognava di diventare proprio come la diva romana. Ma basta con le chiacchiere e con le elucubrazioni, sia lode e gloria alla Ferilli. Ora che viaggia verso i cinquanta - già, è una delle toste ragazze del '64 -, chissà se la struggente parte della matura spogliarellista che affronta il cancro con dignità e scuote persino il cinismo di un Jep Gambardella, chissò, se sarà questa, finalmente, la volta buona per la definitiva ascesa all'Olimpo.

    di Paolo Martini su www.marieclaire.it

    E poi
    http://sabrinaferilli.it/

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